Voce alle Donne: Interviste - Rottevariabili

Voce alle Donne: Interviste

Intervista a Cristina De Benedetto, Paola Martino e Monica Mangione

Per la giornata internazionale dedicata alla Donna abbiamo deciso di lasciare la parola a tre Donne salentine che si sono sottoposte ad una breve intervista.

Risuonano fortemente le parole dell’assessora del Comune di Otranto Cristina De Benedetto, della dott.ssa Paola Martino – Capo Ufficio Integrazione Disabili e DSA dell’università del Salento, nonché componente del Comitato Unico di Garanzia – e, ancora, quelle della dott.ssa Monica Mangione, laureata in Scienza della politica presso l’Università del Salento.

Tre esperienze di vita, indipendenti tra loro, che si incontrano inconsapevolmente nelle stesse (o quasi) risposte alle domande che gli abbiamo posto, lasciandoci ancora una volta un duro insegnamento: tanto è stato fatto, ma tanto ancora deve esser fatto.

Ancora oggi il percorso per raggiungere la propria felicità (personale, lavorativa, psicologica, etc…) richiede, per alcune donne, molti sacrifici e continue lotte. Anche una volta raggiunto un certo soddisfacimento lavorativo, per alcune donne risulta difficile vivere l’ambiente lavorativo in modo sereno. Hai mai vissuto episodi del genere durante la tua carriera o esperienze che in qualche modo hanno rallentato il raggiungimento dei tuoi obiettivi?

Ammetto con sincerità di non aver mai affrontato ostacoli in ambito lavorativo o in altri contesti della mia vita e mai vissuto situazioni poco serene.

Quando avevo le bambine piccole e lavoravo (in maniera precaria e quindi a volte anche con più lavori in contemporanea) mi è capitato spesso di sentirmi in colpa per aver lasciato le bambine a casa con i nonni o all’asilo o con la baby-sitter. La mia razionalità e convinzione che fosse giusto così mi hanno aiutato ad andare avanti e a non rinunciare al mio lavoro e quindi al raggiungimento della mia soddisfazione. Credo che il senso di colpa che spesso sentono le donne che lavorano sia frutto di uno stereotipo culturale che è ancora molto diffuso nella nostra società. Per cui la donna che lavora si sente in colpa mentre l’uomo che lavora non si sente mai in colpa.

Sicuramente essere donna non è semplice, ma essere donna ed avere una disabilità è una cosa ancora più difficile. Purtroppo la società in cui viviamo è ancora fortemente patriarcale, ed essere donna in questo tipo di società vuol dire, ad esempio, che una donna che sceglie di non avere figli è una donna strana. Non esiste un episodio spiacevole che io possa legare solo al mio essere donna, ma non ricordo momenti in cui sia stato semplice essere donna e disabile.

A tuo parere, esiste la parità di genere? Chi dovrebbe assumersi la responsabilità di renderla effettiva?

Tanto si è fatto, ma ancora tanto bisogna fare per abbattere completamente gli stereotipi di genere rigidi, che persistono e che, purtroppo, ancora incidono su una cultura aziendale maschilista, su una divisione del lavoro famigliare asimmetrica e così via. Purtroppo, mi piacerebbe dire che la parità è una realtà e che il femminismo è un retaggio del passato, ma la verità è che le cose non stanno proprio così. Per raggiungere il grande obiettivo, quello della parità totale, bisogna collaborare con tutti gli enti. La forza per raggiungere il grande obiettivo si trova nella cooperazione tra più enti, quindi tra gli enti istituzionali con quelli locali: lavorando insieme si possono raggiungere grandi traguardi.

A mio parare la parità di genere ancora non esiste. Dal dopoguerra ad oggi sono stati fatti molti passi in avanti e tante sono le leggi che hanno aiutato questo percorso, molti i campi in cui le donne si sono affermate. Ma esiste ancora oggi una forte segregazione occupazionale delle donne, sia verticale, per cui sono concentrate nelle posizioni più basse, che orizzontale, ovvero sono concentrate in alcuni tipi di lavori (spesso legati alla cura della persona). La responsabilità per renderla effettiva coinvolge più livelli. Quello politico (necessità di politiche che mettano al centro l’occupazione femminile e i servizi per le famiglie), quello familiare (reale condivisone dei carichi familiari all’interno della famiglia), quello culturale e scolastico (far crescere la nuova generazione nel rispetto delle differenze e senza stereotipi). Ma anche quello delle stesse donne che devono osare di più, sentirsi più sicure, avere meno sensi di colpa, fare rete tra di loro e delegare di più ai compagni/mariti il lavoro di cura.

Credi che l’Italia sia un Paese maschilista? Se sì, quali sono, secondo te, le conseguenze di questa condizione sociale sulla carriera delle donne del XXI secolo?

Sicuramente, rispetto a molti paesi europei, in Italia noi donne possiamo ritenerci fortunate perché possiamo votare, guidare, possiamo ambire a cariche politiche, ma questo grazie a chi ha lottato, grazie al coraggio delle femministe. Per tanti punti di vista abbiamo raggiunto, almeno sul piano formale, l’uguaglianza, ma ancora tanto c’è da fare nel campo lavorativo dove persistono le disuguaglianze e dove le donne guadagnano meno degli uomini, secondo i dati più recenti pubblicati dall’Unione Europea.

In Italia esiste ancora una mentalità maschilista, lo vediamo dal numero di femminicidi quasi sempre per mano di ex che non accettano la separazione; lo vediamo nella resistenza di molti (uomini e donne ) all’uso di un linguaggio non neutro ma rispettoso delle differenza di genere; lo vediamo nelle immagini e nel tipo di trasmissioni che passano in tv in cui ancora prevale l’immagine della donna inferiore all’uomo come oggetto nelle sue mani; lo vediamo nella politica dove le donne faticano a farsi strada. Le conseguenze di tutto questo sono soprattutto sulle nuove generazioni di ragazze che crescono con pochi modelli di donne che si sono realizzate. Anche perché accade che di quelle che si sono realizzate nei diversi campi si parla sempre poco.

Chi è per te la donna di successo? Senti di esserlo? Quale consiglio vorresti dedicare alle donne e ai giovani tutti per riuscire a ritagliarsi il proprio posto nel mondo del lavoro?

Mia madre è una moglie che riesce a conciliare gli impegni lavorativi dagli impegni famigliari, quindi per me sicuramente è questa la donna che conta. Non mi sento una donna “arrivata”, mi sento una donna fortunata per il ruolo che svolgo perché mi consente di stare a contatto con le persone, tutti i giorni, di conoscerne i problemi e capire come affrontarli insieme e questo sicuramente per me è una ricchezza. Io la vedo così, come una ricchezza: il riuscire davvero a poter essere al servizio degli altri. Non ho la presunzione di elargire dei consigli, ma certamente il consiglio che continuo a ripetere a me stessa è quello di studiare, crederci e perseverare.

Il consiglio che mi sento di dare alle giovani donne è di provare sempre a pensare con la propria testa, a non farsi condizionare dalla famiglia o dagli amori (ma senza sacrificarli - sono assolutamente contraria all’idea che per fare carriera non bisogna avere famiglia, anzi lotto per una società in cui sia possibile fare famiglia e fare carriera), di fare rete con le altre donne, di studiare ed essere autonome economicamente e di crescere figli e figlie con il valore della parità.

Per me la donna di successo è semplicemente la donna che si sente realizzata. Onestamente per quanto riguarda me non credo di esserlo, ma troverò il mio posto nel mondo. Il consiglio che sento di dare è: siate ciò che volete essere, prescindendo dal giudizio altrui. Pretendete rispetto.

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